CHI SIAMO

LA NUOVA DIRIGENZA PUBBLICA

dalla metafora della “macchina amministrativa” a quella delle “emozioni”

Qualche premessa storica.

Rappresenta un dato incontrovertibile che ogni vera Riforma della Pubblica Amministrazione deve incidere anche sulla dirigenza, nella stessa misura in cui è circostanza notoria che il percorso è stato storicamente tortuoso fin dall’istituzione avvenuta nel 1972, allorquando il d.P.R. n. 748 ha previsto una disciplina pubblicistica del rapporto di lavoro dei dirigenti, tanto che, per la prima volta nella storia amministrativa italiana, venne introdotta nei Ministeri la nuova carriera dirigenziale scissa da quella direttiva.

Si addivenne pertanto alla costruzione di una figura dirigenziale finalmente dotata di attribuzioni proprie direttamente conferite dalla legge (quindi un organo amministrativo in senso proprio), senza necessità di delega da parte del Ministro, che superava la logica organizzativa fortemente accentrata sulla quale si era fino ad allora basata l’organizzazione ministeriale.

Dopo un ulteriore ventennio si dette avvio a una nuova stagione di riforme, conclusasi nel 2001 con il Decreto Legislativo n.165 che potenziò il ruolo dirigenziale.

Contrattualizzazione del rapporto e divisione tra amministrazione e politica, due principi cardini che sono stati confermati anche in seguito…:

  1. la L.145/2002 ha significativamente ridisegnato le modalità di conferimento degli incarichi, con l’obiettivo (almeno dichiarato) di rafforzare l’autonomia della dirigenza rispetto alla politica;
  2. il Decreto delegato 150/2009 (c.d. legge Brunetta) che, con modalità non sempre lineari, ha inteso rafforzare l’autonomia gestionale della categoria dirigenziale e la sua autonomia rispetto alla politica ed alle organizzazioni sindacali, finendo tuttavia nei fatti per limitare la discrezionalità dell’agire a favore della esecuzione puntuale;
  3. l’art.11 L.124/2015 e lo schema di decreto delegato che ne costituiva attuazione avevano l’obiettivo di emancipare la dirigenza dalla politica al fine di consentirle di agire in maniera effettivamente autonoma e responsabile per l’attuazione delle politiche pubbliche.

L’obiettivo comune (almeno quello dichiarato) di separare la politica dalla gestione amministrativa ha contraddistinto tutte le riforme, pur espressione di ideologie diverse che (apparentemente) puntavano a rafforzare il ruolo della dirigenza considerata il perno del sistema per migliorare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione della pubblica amministrazione, una dirigenza considerata punta di diamante del rinnovamento della P.A. che prometteva una maggiore competenza e managerialità ed un minor legame con la politica.

La realtà si è rivelata, purtroppo, ben diversa ed il percorso, lento e molto ostacolato, ci porta a constatare che: 

  • La politica non ha perso il timone di comando delle Amministrazioni e non si limita (il più delle volte) a fornire meri atti di indirizzo ma entra nelle singole scelte per alimentare il proprio consenso.
  • La dirigenza non sempre è propensa ad assumersi nuove responsabilità ed a rivendicare il proprio ruolo, è più attenta al legalismo formale e/o alla cultura dell’adempimento che al risultato, secondo un comportamento che può essere tristemente definito di “burocrazia difensiva”.
  • La dirigenza è stata molte volte utilizzata e declinata come il capro espiatorio di difetti ed inefficienze le cui responsabilità dovrebbero ricadere, in prevalenza, su altri.

La differenza tra il pubblico ed il privato.

Al pari del dirigente privato il dirigente pubblico è un prestatore di lavoro ma allo stesso tempo riveste anche il ruolo di datore di lavoro nei confronti dei dipendenti assegnati al proprio ufficio, sì da essere descritto con la nota figura mitologica del Giano Bifronte.

Il dirigente pubblico “dipendente” è assunto al pari di quello privato con un contratto individuale di lavoro, ma presenta una doppia specificità:

  • il contratto di assunzione attribuisce la sola qualifica dirigenziale e il dirigente nel corso del rapporto sarà destinatario di molteplici incarichi a termine.
  • È tenuto ad esercitare anche poteri pubblicistici. Di qui l’ampio dibattito nato dall’esigenza di far convivere in capo alla medesima figura la natura privatistica del rapporto di lavoro con l’esercizio di poteri pubblici. La composizione di tale apparente dicotomia si è avuta con il riconoscimento della natura privatistica dell’atto di conferimento dell’incarico quale atto determinativo delle mansioni e di assegnazione alla direzione di una determinata struttura, presupposto per l’esercizio di tutti i poteri, anche quelli pubblicistici, propri dell’ufficio di attribuzione secondo l’articolazione organizzativa definita ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001. Quanto al dirigente pubblico “datore di lavoro” la peculiare connotazione consiste nell’attribuzione di prerogative datoriali diverse (e per taluni profili, addirittura più ampie) di quelle proprie del dirigente privato il cui esercizio è però talvolta assoggettato a precisi vincoli tali da limitare l’autonomia d’azione.

La dirigenza pubblica, nonostante sia “datore di lavoro”, non è mai riuscita a connotarsi fino in fondo come tale, emblematico della difficoltà di introdurre una cultura aziendalistica nella pubblica amministrazione, anche per le specificità del sistema di relazioni sindacali ove tra dirigenza ed organizzazione sindacali non si configura una netta contrapposizione, ma neppure una identità di obiettivi per la difficoltà di introdurre la cultura della programmazione e della valutazione, aspetti senza dubbio portanti, ma rispetto ai quali gli attori tutti hanno manifestato una resistenza passiva.

Il ruolo e le prospettive di Confintesa per la Dirigenza.

Nonostante i plurimi interventi la dirigenza pubblica rimane, dunque, alla continua ricerca di una propria identità e, facendo proprio quanto già esplicitato da Gardini “vive sospesa, in bilico tra pubblico e privato, tra tecnica e politica, tra imparzialità e fiduciarietà” (in “La dirigenza pubblica in cerca di identità. Riflessioni alla luce di una riforma interrotta”).

Confintesa Dirigenti P.A. si pone come promotore di nuovo respiro della funzione di dirigenza nel settore pubblico, quale alternativa alle OO.SS. già esistenti, per dare voce alla classe dirigente che ha voglia di cambiare prospettive e rendersi promotore di un cambiamento.

Come?

  • Emancipando il lavoro pubblico dal limbo in cui è finito, rilanciando motivazione e investimento sulle risorse umane attraverso la formazione costante e modelli organizzativi alternativi e virtuosi.
  • Individuando e valorizzando il patrimonio di competenze professionali e di conoscenze presenti nella dirigenza pubblica, senza dover volgere sguardi particolarmente “attrattivi” all’esterno, considerando gli incarichi ex art.19 comma 6 D.lgs. 165/2001 solo residuali ed eccezionali e non uno strumento in mano alla politica.
  • Rimuovendo ogni ostacolo che si frappone alla vera trasparenza e tempestività in ogni fase del rapporto dirigenziale (conferimento, svolgimento e cessazione dell’incarico) e che si traducono in ostacoli all’autonomia e all’efficienza.
  • Assicurando trasparenza nelle procedure d’interpello e nei criteri di assegnazione degli incarichi. È indispensabile un processo trasparente che valorizzi le competenze di ciascuno.
  • Rimuovendo gli ingiustificabili ritardi nell’assegnazione degli obiettivi che, unitamente alle carenze dei sistemi di valutazione, rappresentano senza dubbio i punti di maggiore criticità per una effettiva garanzia di autonomia della dirigenza.
  • Ridefinendo le posizioni dirigenziali con una riduzione delle fasce.
  • Eliminando la cosiddetta “doppia dirigenza “e chiarire il ruolo in alcune Amministrazioni in cui il ruolo del Dirigente viene affievolito, per non dire depotenziato, dalla presenza del personale non contrattualizzato (Magistrati, Prefetti, Ambasciatori, Forze Armate).
  • Procedendo alle assunzioni di nuovo personale dirigente, sia velocizzando la conclusione dei concorsi già banditi sia bandendo nuovi concorsi che tengano in buona considerazione l’esperienza maturata dal personale di terza area anche nel concreto espletamento delle funzioni dirigenziali.

In questo quadro il dirigente che ha la responsabilità di dare risposte alla domanda di servizi opererà in base a valutazioni complessive inclusive della razionalità tecnica, della legittimità giuridica, dell’opportunità sociale, della conoscenza e della compatibilità economica, userà gli strumenti del controllo di gestione o altri sistemi gestionali ma necessariamente dovrà definire una propria visione della direzione verso cui operare e farsi carico dei diversi aspetti legati al cambiamento radicale che da più parti, e soprattutto dalla società civile, viene richiesto.

Confintesa Dirigenti P.A. si propone come alternativa, seria ed obiettiva, e potrà riuscire con l’appoggio di tutti coloro che condivideranno i propositi contenuti in queste pagine.